Celommi e la luce sull’Abruzzo più autentico

Pasquale Celommi, definito il ‘pittore della luce’, è un verista autentico che ha rappresentato con le sue opere definite ‘poesie dipinte’, la società e l’ambiente abruzzese di fine Ottocento.

Nasce nel 1851 da un’umile famiglia a Montepagano: una collina che domina la costa dell’odierna cittadina Roseto degli Abruzzi, l’antica Rosburgo.

I genitori si trasferiscono successivamente proprio a Rosburgo, che in questo periodo inizia a strutturarsi come scalo commerciale dell’abitato medievale di Montepagano.

Le opere che Celommi ci ha lasciato, unitamente a quelle del figlio Raffaello che ne seguì le orme, sono uno splendido spaccato della vita quotidiana che abitano, dove protagonista è sempre la gente abruzzese del mondo contadino e della marineria immortalata nei suoi luoghi naturali.

Le sue opere non possono essere certo definite quadri paesaggistici, però le ‘luminose marine’ dell’Adriatico e gli inconfondibili paesaggi agresti cui fanno sempre da sfondo i contorni dell’Appennino Abruzzese, sono il ritratto inconfondibile della natura rustica tra mare e monti dell’Abruzzo.

 

Tre gli esempi più alti della produzione di Pasquale Celommi troviamo L’operaio politico e La pescivendola, in questi dipinti il pittore si avvicina all’esperienza del verismo sociale: la stanchezza degli occhi dell’anziana pescivendola e la caparbietà con cui il vecchio operaio legge il giornale, danno l’idea di una ricerca o almeno di una voglia di cambiamento ed emancipazione che fu molto forte  in Abruzzo.

 

Elemento ricorrente nelle opere della produzione di Pasquale Celommi è la canestra o paniere o nassa da pesca che veniva realizzata dai canestraicontadini e pastori che nei ritagli di tempo si dedicavano all’antica arte dell’intreccio di vimini, giunchi, rami di castagno o verghe di olivo. Questa pratica ancora oggi è attuale in alcuni centri agricoli e montani dell’Abruzzo.

 

L’opera forse di maggior successo è stata Il Ciabattino, del 1895, dove Pasquale Celommi riesce ad esprimere tutta la sapienza e la serenità dell’artigiano che compie quei gesti ripetuti chissà quante volte, gli stessi gesti che sono nei ricordi infantili di Celommi, figlio di un ciabattino di Montepagano.

 

 

LA SCIABICA DA SPIAGGIA E LA PICCOLA PESCA

La sciabica da spiaggia è una tecnica di pesca praticata dai pescatori delle coste sabbiose del Medio Adriatico con una barca a remi che calava una rete a strascico in acque non profonde e non lontane dalla spiaggia.
Fino ai primi anni del 900′ le reti da sciabica erano realizzate in canapa macerata e lasciate ad asciugare al sole.
Il filo ricavato veniva successivamente cucito dalle donne cui spettava il compito di fabbricare le reti, il compito di ripulirle e ripararle prima di rimetterle in mare invece, era affidato agli anziani.

Questa l’opera Il pescato della sciabica.

In molte marinerie abruzzesi ci sono ancora esempi di piccola pesca da spiaggia,  talvolta incentivate dalle stesse amministrazioni comunali.  Nell’area antistante l’attracco, sono poi le donne che attrezzano la vendita immediata del pescato mentre gli anziani, nel dedicarsi al riparo delle reti, si lasciano andare a ricordi e racconti che se si ha la fortuna di trovarli di buona vena sono un’esperienza da vivere per capire e conoscere meglio un pezzo di Abruzzo.

Chiedi informazioni sulle opere di Celommi e su dove trovare ancora esempi di piccola pesca, ti daremo le giuste indicazioni per un’esperienza davvero cozy.

 

L’Arminuta, la Di Pietrantonio e le madri abruzzesi

Donatella Di Pietrantonio è una scrittrice abruzzese o meglio ancora una dentista pediatrica prestata con successo al romanzo, nata ad Arsita, sotto il Monte Camicia, sul versante teramano del Gran Sasso d’Italia.

 L’Arminuta (la ritornata) è la storia, raccontata nel suo libro, di una bambina che a 13 anni scopre di non essere la figlia delle persone che l’hanno cresciuta e che viene restituita alla sua vera famiglia; l’Arminuta passerà così dalla città al paese, dall’agiatezza alla povertà, passando di fatto per due abbandoni.

“Ero l’Arminuta, la ritornata … e non sapevo più a chi appartenere. Invidiavo le compagne di scuola del paese …, per la certezza delle loro madri”.

 

Sullo sfondo la descrizione della maternità o meglio sarebbe dire delle maternità, rapporti duri segnati dalla fatica della vita: amore, abbandono, rinuncia ma anche affidamento, cura, accoglienza.

Nei decenni scorsi in Abruzzo, la ‘donazione’ di bambini fatta dalle famiglie più povere e numerose alle coppie sterili, è stata una consuetudine assai diffusa.

LE FIGURE MATERNE DEL PASSATO

Sono state molte le figure materne attive in Abruzzo fino a metà ‘900.

Una di queste figure materne è la “mammina”, cioè la levatrice, figura di tempi lontani nei quali in Abruzzo i figli nascevano in casa. Un ruolo antico e fondamentale in quel periodo, donne che con le loro mani aiutavano altre donne a partorire diventando madri loro stesse. Le prime a scoprire se il nascituro fosse maschio o femmina, particolare di non secondaria importanza per quei tempi, le prime a darne notizia alla mamma, alla nonna, alle zie. Tale era la gratitudine per queste figure che spesso al neonato veniva dato anche il loro nome.

Altra figura materna del passato è quella della balia alla quale venivano affidati la cura e l’allattamento dei neonati. Con un percorso inverso rispetto a quello iniziale de’ L’Arminuta, erano le classi agiate ad affidare i bambini ad un’altra madre spesso scelta tra i contadini. Questo per evitare che l’allattamento potesse influire negativamente sul loro aspetto fisico o forse semplicemente perché non producevano latte. Quando la balia si occupava dei piccoli senza allattarli veniva chiamata ‘balia asciutta’. Spesso tra i bambini allattati e i figli biologici della balia si stabiliva un rapporto affettivo che li definì fratelli di latte, ancora oggi è possibile trovarne tra i meno giovani.

IL CULTO DELLA MADONNA DEL LATTE IN ABRUZZO

Quando la scomparsa più o meno totale del latte dal seno colpiva le giovani madri dei ceti sociali più poveri, vista l’impossibilità economica di servirsi delle balie, si faceva ricorso a metodi devozionali e fu così che si sviluppò un vero e proprio culto della Vergine Madre.

La devozione Mariana in Abruzzo è sempre stata molto forte e il culto è attribuito quasi unicamente alle donne abruzzesi a causa della continua assenza degli uomini impegnati nelle Transumanze legate alla pastorizia.

La Vergine Maria come ‘Madre’ di tutte le madri’ è stata spesso raffigurata fin dal XIV secolo negli affreschi mentre allatta Gesù Bambino.

In Abruzzo è possibile vedere uno di questi affreschi conservato nella chiesa cinquecentesca di San Francesco a Carapelle Calvisio, borgo in provincia de L’Aquila di 82 anime situato al di sotto della vasta piana di Campo Imperatore.

Altre tradizioni prevedevano il ricorso ad acque miracolose o quantomeno galattofore, legate al culto di Sante e in prossimità di sorgenti montane. È il caso di Sant’Eufemia a Maiella, dove queste acque venivano date anche alle mucche per aumentarne la produzione di latte, decisiva per l’economia dell’intera comunità.

L’ABRUZZO DE’ L’ARMINUTA

L’ambientazione de’ L’Arminuta è quella dell’Abruzzo più arcaico e primitivo dell’entroterra di qualche decennio fa, scorrendo le pagine del libro ne puoi scorgere i colori, annusare gli odori e quasi percepirne i rumori. Una terra aspra ma accogliente, dura ma luminosa.

Ancora oggi vale la pena addentrarsi in uno dei numerosi borghi montani e pedemontani per vivere le sensazioni autentiche che riesce a dare l’incontro con gli anziani che sono rimasti a popolarli. I loro racconti, i loro volti rugosi talvolta burberi ma pieni di dolcezza, le loro mani segnate dalla fatica valgono un viaggio nel borgo che diventa anche un viaggio nel tempo.

         

Puoi prenotare il tuo viaggio nel tempo in Abruzzo scegliendo se fare base sulla costa oppure in montagna, ti daremo consigli e indicazioni per un’esperienza unica nei riti e nelle tradizioni del passato.